congressi - AISS

30.3.25
"Cattivi" - 53mo Congresso AISS

Non c’è che dire, i cattivi non mancano. Non lo fanno mai. Se ambiti come la politica o la cronaca dovessero sembrarci troppo scontati, potremmo pensare alla letteratura, al folklore, al cinema, ai cartoni animati o alla rete. Qualunque narrazione, sia essa esplicita o implicita, non manca di cattivi, e così persino la pubblicità, il design, la gastronomia o la moda hanno i loro. Il motivo, lo sappiamo, affonda in uno dei principi cardine della semiotica, quello strutturale, per cui a porre in essere gli elementi di un qualunque sistema è la relazione che contraggono. Affinché ci sia un buono è necessario che ci sia un cattivo e viceversa. L’uno presuppone l’altro, proprio come fanno i piani di un segno, rendendo negoziale l’unità che costituiscono. Ma se a decidere chi sia l’eroe di una fiaba è la prospettiva scelta per raccontarla – al punto che il terribile Minotauro può sempre diventare il triste Asterione – quando ci si confronta con testi più articolati, come possono essere le azioni di un governo o una saga cinematografica, al variare dei confini che si scelgono per l’analisi variano anche questi due ruoli. Non cosa (o chi) è cattivo ma quando lo è, potremmo dire parafrasando Goodman. Dove il “quando” non è relativo unicamente alla dimensione temporale ma, più in generale, all’articolazione (e ai confini) di una narrazione o di un discorso in tutta la loro complessità.
La questione diventa così più interessante. Parlare di cattivi non significa decidere chi lo sia, e di conseguenza chi sia il buono, ma individuare le condizioni a partire dalle quali cattiveria e bontà, villain ed hero, si danno, ciascuno sfruttando l’altro in modo più o meno strategicamente consapevole, coerente ed orientato, per porsi come tale agli occhi di qualcun altro. Uno scenario allargato in cui non conta solamente il ruolo assunto da un certo soggetto – o il punto di vista da cui lo osserviamo – ma anche il modo in cui questi agisce per darsi a vedere ora come cattivo ora come qualcos’altro (o per darsi a non vedere), nonché l’assiologia (il sistema di valori, o anti-valori) che fa propria e, di conseguenza, il destinante (o l’antidestinante) che lo muove. D’altronde, a rendere interessante una narrazione non è la struttura polemica, lo scontro che prima o poi si verificherà, ma i tanti ribaltamenti che hanno luogo prima che questo accada. Gli stessi che negli ambiti cui accennavamo si producono di continuo. La cattiveria si rivela così un effetto di senso, di cui una teoria della significazione è in grado di individuare e descrivere le logiche profonde, ricostruendo i diversi piani a partire dai quali si genera e si rigenera continuamente.
Pensiamo a puro titolo di esempio al cinema, anche di animazione. Moltissime delle grandi saghe cominciate nel secolo scorso, o dei personaggi che abbiamo conosciuto e che sono entrati nell’immaginario condiviso, in tempi più vicini a noi sono stati del tutto ribaltati. Se Guerre Stellari nella prima trilogia di George Lucas ci ha educato ad abbracciare la prospettiva degli eroi positivi, Star Wars, nella seconda, ci ha spinti ad esplorare il lato oscuro della forza. E ancora, mentre vedendo La bella addormentata da bambini non abbiamo mai avuto dubbi su quanto Malefica fosse detestabile, in seguito abbiamo dovuto scoprire quanto il suo odio e la sua brama di potere fossero legati a traumi infantili. D’altronde, se ogni storia contiene una controstoria, il modo più semplice per continuare la prima è mettere in scena la seconda.
Una massima che vale tanto per le storie di finzione quanto per la storia con la S maiuscola, con ben diverse conseguenze. Lo sanno bene i politici, che hanno preso (o ripreso) a sperimentare il potente magnetismo dell’oscurità per creare il proprio consenso, ma soprattutto per proporre all’opinione pubblica azioni che in passato non avrebbero neanche potuto immaginare di attuare. E se il ribaltamento è nelle cose, cifra costitutiva di ogni storytelling, ciò che lo rende comunicativamente efficace sono le dinamiche passionali cui dà adito. In fondo, tutti vogliono sapere cosa si prova a essere il cattivo. Quanto può essere esaltante non dover obbedire a nessuna regola? Ma siamo poi così sicuri che i lati oscuri non ne abbiano? E soprattutto, come è possibile invertire le cose, e passare da un sistema di valori esaltante come quello dei cattivi a uno che lo è meno prima che sia troppo tardi?
Crediamo che la semiotica possa aiutare, se non a trovare soluzioni per il cattivismo dilagante, almeno a chiarire le sue condizioni di esistenza, analizzando i tanti testi in cui bontà e cattiveria si incontrano e si scontrano.

 

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