Negli ultimi anni è apparsa sul web una nuova modalità di comunicazione che ha avuto una impressionante circolazione discorsiva. Comprensibile a tutti e usata da un numero elevato (e in continua crescita) di utenti, è caratterizzata dalla combinazione sincretica di immagini, suoni e parole per produrre testi, generalmente piuttosto brevi, mobilitando un repertorio ampio ed eterogeneo di risorse semiotiche ed estetiche. Si pensi, ad esempio, ai “meme” audiovisivi o alle funzionalità e app dedicate, quali Instagram Stories o TikTok. È interessante notare come sul piano dell’espressione vengano qui riprodotte esternalizzate e testualizzate le procedure tipicamente multimodali e sinestetiche che caratterizzano il lavoro più originario della nostra immaginazione.
Quest’uso creativo dei media è stata fin qui prevalentemente studiato a partire dalle configurazioni testuali nelle quali si manifesta e dall’opportunità di raccoglierle in corpus più o meno omogenei, utilizzando di volta in volta criteri di classificazione eterogenei, donde il numero estremamente elevato delle definizioni teoriche e pratiche a cui si è potuto fare ricorso: intermedialità, postmedialità, remix, rimediazione, rimontaggio, re-enactment, replacement, rilocazione (Bolter, Casetti, Eugeni, Grusin, Noë) ecc. Ci si potrebbe tuttavia chiedere, in via preliminare, se il modo migliore per comprendere e studiare questa modalità espressiva sincretica non consista nell’interpretarla come una vera e propria “scrittura estesa”, in quanto tale capace di essere appresa, interiorizzata e performata, nonché di evolvere secondo linee di sviluppo che sono solo in parte preventivabili benché riferibili a pratiche comunicative che tendono a pertinentizzare le stesse modalità espressive. Se così fosse, ci troveremmo di fronte a un fenomeno che potrebbe riservare conseguenze culturali analoghe a quelle ascrivibili alla scrittura lineare e alla stampa a caratteri mobili (Havelock, McLuhan, Ong).
È evidente la natura intimamente interdisciplinare di quest’ultimo scenario, sul quale sarebbe molto interessante aprire un confronto tra studiosi di diverso orientamento, dalla semiotica all’estetica, dalla teoria dei media e del cinema all’antropologia (Ingold, Malafouris) fino alla psicologia (Rivoltella, Antinucci, Roncaglia) e alle neuroscienze (Gallese), per citare solo alcuni tra i campi disciplinari indubbiamente interpellati da questa forma espressiva intimamente intrecciata con la natura sociosemiotica del suo supporto tecnico.
A tal fine si individuano, senza alcuna pretesa di esaustività, alcune tra le possibili linee di riflessione riferibili allo studio della scrittura estesa:
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- Una mappatura degli usi creativi dei media e l’affermazione di pratiche comunicative fortemente intermediali
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- Il ruolo giocato dalle diverse forme di mediazione tecnica nel configurare l’esperienza contemporanea
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- Il modo in cui queste nuove testualizzazioni espressive sincretiche generano significati
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- I rapporti che la “scrittura estesa” istituisce con la scrittura correntemente intesa e il suo
contributo a una ridefinizione di questo concetto
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- La specificità dei processi di apprendimento e di interiorizzazione della scrittura estesa
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- Le relazioni delle forme di “scrittura estesa” con le forme produttive audiovisive tradizionali,
a partire dal cinema