Ricordo Antonino Buttitta
Di Gianfranco Marrone
Dopo D’arco Silvio Avalle, Maria Corti, Pino Paioni, Cesare Segre, Umberto Eco, Tullio De Mauro, Gianfranco Bettetini, è venuto a mancare il 2 febbraio 2017 anche Antonino Buttitta. La generazione degli studiosi che, in Italia e non solo, ha fondato la scienza dei segni e della significazione, costituendo fra l’altro l’Associazione italiana di studi semiotici, s’è dissolta. Molto diversi fra loro, questi nostri maestri – diretti e indiretti – condividevano alcune prerogative di fondo, le quali avevano generato, con una solida amicizia, un comune progetto di ricerca e di vita: il rifiuto dell’idealismo crociano, dello storicismo e del pensiero dialettico; l’apertura verso il paradigma europeo delle scienze umane e sociali; la costante ricerca di sistematicità e di un’invarianza che spiegasse, senza cancellarle, le differenze locali e individuali; un’attenzione critica nei confronti della cultura di massa; un dialogo continuo con le sperimentazioni letterarie ed artistiche del Novecento. Impegnati in ambiti disciplinari differenti come la filologia, la linguistica, l’estetica filosofica, la filmologia o l’antropologia, la semiotica costituiva ai loro occhi, prima ancora che un appiglio metodologico trasversale, un’esigenza di ordine che non fosse banale oggettivazione positivista, un bisogno di chiarezza che non operasse vani riduzionismi scientisti. Al di sotto, e al di là, dei fatti puri e duri, dei fenomeni presunti obiettivi, emergeva una domanda di senso, anch’essa però sganciata dall’umanesimo soggettivista e dalle palpitazioni esistenzialiste. La semiotica come una sorta di terza via, insomma, la quale – seguendo il monito di Saussure magistralmente esplicitato da Cassirer – riuscisse a eludere l’antitesi fra le cosiddette scienze della natura, alla ricerca di spiegazioni obiettivanti, e le cosiddette scienze dello spirito, interessate invece alla comprensione ermeneutica delle esperienze umane e sociali. L’intera ipotesi semiotica – in questo fortissima – si fondava su un attraversamento costruttivo di ogni dualismo tra empirismo e intellettualismo, positivismo e storicismo, materialismo e idealismo, mondo e io, ragione e passione, scienza e letteratura, epistemologia ed estetica. Il segno era inteso come il termine medio tra soggetto e oggetto, intelligibile e sensibile, cultura e natura, luogo del loro incontro e strumento della loro mediazione. Dal punto di vista semiotico, non c’è da un lato il concetto e dall’altro l’immagine, ma – come spiegava per esempio Lévi-Strauss attraverso la nozione di bricolage – c’è un segno che, facendo da tramite fra i due, permette l’esistenza sia dell’uno sia dell’altra.
Nel lavoro teorico di Antonino Buttitta – e ricordiamo soltanto i fondamentali Ideologie e folklore (1971), Semiotica e antropologia (1979), Percorsi simbolici (1989), L’effimero sfavillio (1995), Dei segni e dei miti (1996), Mito fiaba rito (2016) – tutto questo è ben chiaro. Dal punto di vista di un antropologo interessato ai problemi della significazione, tutta una serie di inveterati dualismi filosofici non ha ragion d’essere. Rileggiamo dalla premessa di Dei segni e dei miti: “le cose sono, prodotte o non prodotte dall’uomo, per ciò che esse significano per gli uomini”; motivo per cui, “segni e simboli non sono solo un tratto caratterizzante l’uomo in quanto tale: la sua essenza, il suo destino. Nella produzione e nel consumo di segni e simboli consiste anche la condizione umana. Nulla per l’uomo ha realtà al di fuori di essi ed egli stesso perde la sua identità in quanto uomo se ne dimentica l’esistenza”. Ancora: “natura e cultura sono due aspetti del continuum della realtà umana, distinguibili solo per una esigenza conoscitiva”; “la cultura è il momento in cui il rapporto tra l’uomo e la natura si esprime e realizza in sistemi di segni, determinando le condizioni d’esistenza dell’uomo in quanto essere sociale”. In altri termini, se la cultura è il luogo costitutivo della significazione, essa pone in modi sempre diversi il suo “al di là” naturale: per questa via il mondo naturale diviene il luogo in cui il senso si dà e si trasforma, aprendosi alle articolazioni formali dei linguaggi, dei comportamenti e delle cognizioni sociali.
Bastano queste osservazioni per annullare qualsiasi ipotesi rappresentativa, e per fondare la primarietà logica e ontologica di modelli culturali che sono sempre e inevitabilmente modelli semiotici. Se l’antropologia non può che risolversi in una semiotica, la semiotica – a sua volta – deve porsi come teoria della cultura. Così, per Buttitta, analisi antropologica e analisi semiotica finiscono per coincidere, attraverso la mediazione della grande linguistica strutturale. Da Saussure a Hjelmslev sino a Coseriu e Lyons, la lezione dei linguisti – rimeditata e tradotta semioticamente – resta per l’antropologo fondamentale. Ogni analisi dei fatti culturali, da questo punto di vista, deve tenere conto del carattere biplano dei sistemi di significazione (espressione/contenuto), ma deve far riferimento alla stratificazione dei linguaggi in Schema, Norma, Uso e Parole. Ogni strato linguistico-culturale, ricorda Buttitta, ha una sua specifica temporalità, e richiede pertanto un diverso sguardo metodologico. Se, per esempio, “il livello parole [...] si dispone su un piano di irreversibilità i cui ritmi soggetti al rapido scorrere del tempo debbono necessariamente essere studiati con metodo storico”, “gli altri livelli, soggetti a scansioni temporali più lente, appartenendo al dominio della reversibilità si prestano all’osservazione di tipo sistematico”. Da questo punto di vista, struttura e storia perdono qualsiasi connotazione di antiteticità e si scoprono essere, in un’ipotesi semiotico-antropologica di largo respiro, fenomeni complementari. Ed è in questa chiave che Buttitta ripensa la celebre differenza fregeana tra significato e senso: “per uscire dalla secche mortali del formalismo – leggiamo – l’antropologia deve considerare unitamente ai problemi del significato dei fenomeni studiati anche quelli del loro senso”; laddove “intendiamo per ‘senso’ di un fenomeno culturale il particolare significato che esso assume in relazione al contesto di fruizione, la concreta funzione, al di là del significato interno che talora può essere addirittura opposto, che esso assolve nell’universo culturale e sociale degli individui che ne sono produttori e consumatori”. Se dunque col ‘significato’ possiamo intendere il micro-contesto entro cui si svolge un dato fenomeno culturale, con il ‘senso’ sarà il macro-contesto entro cui questo stesso fenomeno ha luogo a divenire pertinente.
Tutto ciò viene da Buttitta mostrato non solo mediante riflessioni teoriche, ma anche e soprattutto attraverso la lunga serie di lavori sul campo riguardanti molteplici fenomeni culturali, la maggior parte dei quali di provenienza siciliana. Da cui le sue celebri analisi di grandi simboli culturali (la Stella cometa, la Madre mediterranea, la Maschera, l’Isola, il Mare), le sue ridefinizioni dei generi folklorici (fiaba, mito, canzone, cunto ecc.), le sue interpretazioni di rituali e fenomeni folklorici (la festa dei morti, il carnevale, il teatro delle marionette etc.). E vanno ricordati a questo proposito, a mo’ d’esempio, i volumi Cultura figurativa popolare in Sicilia (1961), La pittura su vetro in Sicilia (1972, 19912), Pasqua in Sicilia (1978), Gli ex-voto di Altavilla Milicia (1983), Il Natale (1985), Il mosaico delle feste (2003), veri e propri modelli d’analisi semiotica delle culture.
Accanto a questo denso lavoro scientifico, da lui stesso ricordato nel bel libro-intervista ad Antonino Cusumano Orizzonti della memoria (2015), va menzionata la sua infaticabile attività di promozione e diffusione della cultura, scientifica e letteraria, internazionale e locale: da cui gli impegni accademici (ordinario di Antropologia culturale nella Facoltà di Lettere e Filosofia di Palermo, della quale è stato a lungo Preside, ma anche docente alla IULM e alla Cattolica di Milano), la direzione di riviste (“Uomo e cultura”, “Nuove Effemeridi”, “Archivio Antropologico Mediterraneo”) e di collane editoriali (“Uomo e cultura, Testi” per Flaccovio, “Prisma”, “Nuovo Prisma”, “Tutto e subito” per Sellerio), l’organizzatore di conferenze e convegni (si pensi alle diverse edizioni dei congressi antropologici internazionali su temi come “La cultura materiale”, “L’amicizia”, “I mestieri”, “Amore e culture”, “Donna e società”, “Il dolore”, “La menzogna”, “La prova”, i cui atti sono adesso reperibili nel sito www.circolosemiologicosiciliano.it), le cariche in associazioni semiotiche (Presidente dell’Associazione italiana di studi semiotici, Segretario generale dell’International association for semiotic studies), la costituzione di società e istituzioni scientifiche (Associazione per la conservazione delle tradizioni popolari, Folkstudio, Circolo semiologico siciliano, Museo delle marionette, Scuola internazionale di scienze umane, Premio Semiosis). Non ultima, la sua attività politica (segretario regionale siciliano e Deputato nazionale del Partito socialista), della quale, da narratore instancabile e creativo, non mancava di prendere le distanze, ridendoci su, nell’ultimo periodo della sua vita. Da siciliano verace e incallito, tutta questa frenetica attività era difatti costantemente accompagnata da quella che, forse, era la sua principale, e più bella, prerogativa: la sferzante ironia verso il mondo, se stesso incluso.
Dovremo tenerlo presente.
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