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ABROAD – Intorno alla semiotica antipodale (ovvero: intorno alla semiotica non fatta con i piedi)

Massimo Leone, Università di Torino  

Se si escludono gli Open di tennis, le corse di cavalli, le regate, il cricket, il rugby australiano, il surf, le gite nei parchi naturali, le centinaia di caffé, ristoranti e gallerie d’arte, gli immancabili barbecue e gli innumerevoli festival di ogni tipo, Melbourne è un posto ideale per ritrovare la concentrazione e dedicarsi alla ricerca semiotica. Nel corso di due secoli l’Australia ha saputo assorbire, non sempre senza tragiche conseguenze, nell’ordine: anglo-celtici, cinesi, afgani, italiani, greci, libanesi, vietnamiti, etc. Anche i semiotici vi sono bene accolti, entro certi limiti: pare che i semiotici tensivi abbiano bisogno di un visto speciale, e i cosmosemiotici peirciani di un periodo di quarantena in cui leggano solo Bertrand Russell. Quando ci si presenta come semiotico a una conferenza australiana, di solito la prima domanda è un’obiezione fatta da qualcuno che di semiotico ha letto solo un compendio di Barthes negli anni Settanta, la seconda è un’obiezione di un antropologo che rimprovera alla semiotica di essere troppo schematica, e la terza chiede come sta Umberto Eco. Scherzi a parte, la semiotica in Australia vanta una certa tradizione (per una rapida sintesi: http://www.semioticon.com/semiotix/semiotix8/sem-8-04-1.html), ma è meno istituzionalizzata che nell’Europa continentale o nell’America latina. Non ci sono insegnamenti di semiotica, né tanto meno dipartimenti o corsi di studi, ma la semiotica è coltivata individualmente da singoli ricercatori, spesso con forti legami con il Vecchio Continente. La semiotica è inoltre una delle opzioni metodologiche offerte agli studenti under- e post-graduate per svolgere le loro ricerche. I colleghi Australiani non-semiotici mostrano di solito un sincero interesse per la semiotica, a patto che non li si frastorni più di tanto con un gergo troppo incomprensibile. Sono approdato a Melbourne grazie a un anno sabbatico concessomi dall’Università di Torino, e all’ospitalità della “School of English, Communication, and Performance Studies” di Monash University. Questa università, che ha come motto il michelangiolesco “Ancora imparo”, è giovane ma in rapidissima espansione. Classificata tra le prime 35 al mondo nei ranking internazionali più accreditati, vanta diversi campus in Australia oltre che alcune “succursali” in Malesia, Sudafrica e anche in Italia (il Monash Centre di Prato). Personalmente ho molto apprezzato il campus di Clayton, ovviamente per l’eccellente biblioteca, ma senza trascurare l’ottima piscina riscaldata. La “School of English, Communication, and Performance Studies” è un centro di straordinario fermento interdisciplinare, particolarmente per quanto riguarda la cooperazione fra estetica e scienze della comunicazione. I colleghi sono, come in generale la maggior parte degli australiani, di una sconcertante ospitalità. Il mio soggiorno australiano è finanziato dall’Università di Torino (progetto CRT “World Wide Style”) e da una Endeavour Research Fellowship, una delle borse di studio e ricerca offerte dal generoso programma del governo australiano per gli studenti e i ricercatori stranieri (per i dettagli, http://www.endeavour.deewr.gov.au/international_applicants/research_fellowships.htm). La mia ricerca verte sulla dimensione multi-religiosa delle città australiane, e sui problemi che essa comporta in termini di coesione sociale. Utilizzo la semiotica per analizzare sia una serie di controversie legali legate alla convivenza di più sistemi di credenze nelle metropoli australiane, sia l’impatto delle iniziative pubbliche per disinnescare le potenziali situazioni di tensione. Naturalmente questa ricerca guarda con un occhio all’Australia e con l’altro all’Italia e ai suoi rapidi cambiamenti demografici. L’Australia vanta alcune delle migliori università del mondo e investe molto sull’educazione e sulla ricerca, cercando di attirare soprattutto studenti e ricercatori dall’estero. Per chi volesse concorrere a uno degli Endeavour Awards, consiglio in particolare di: 1) avere un’ottima conoscenza della lingua inglese; 2) stabilire dei solidi legami con la potenziale Università ospite; 3) preparare la domanda, che è molto burocratica, con almeno un anno di anticipo; 4) formulare un progetto di ricerca che possa interessare sia la società italiana che quella australiana; 5) non dare per scontato che i revisori delle domande sappiano che cos’è la semiotica; 6) cominciare a prendere lezioni di surf. Di fronte all’Opera House di Sydney, una serie di targhe incastonate nel pavimento ricorda il passaggio d’intellettuali e scrittori famosi per l’Australia. Una di esse commemora la visita di Umberto Eco nel 1982, e riporta una frase dell’insigne semiotico: “l’Australia non è solo agli Antipodi, è lontana da tutto, talora anche da sé stessa”. A distanza di quasi trent’anni, l’Australia ha scoperto che la sua lontananza era misurata dall’Europa e dagli Stati Uniti, e ha scoperto anche di non essere poi così lontana dall’Asia, e soprattutto dalla Cina. Nel frattempo il baricentro economico del pianeta si è spostato verso Est, e oggi una buona parte degli studenti che popolano e sostengono le università australiane provengono dall’Asia orientale. Il centro massaggi del campus di Clayton ne è una riprova inconfutabile. Arrivare in Australia dall’Europa comporta ancora un lungo viaggio, ma il senso di lontananza che colpì Eco nel suo viaggio agli antipodi nei primi anni Ottanta si accompagna oggi a un senso di quanto ancora lontana sia l’Europa da uno nei nuovi centri nevralgici del pianeta.